Politica
venerdė, 9 maggio 2025
19:22:00
Dario Damiani (Fi) su polemiche proposta strada Sergio Ramelli
La nota del senatore Forzista
Spiace constatare che dopo 50 anni dal suo assassinio il nome di Sergio Ramelli sia ancora "sconosciuto ai più", come emerge dalla polemica che anima il dibattito cittadino a Barletta in queste ore. Spiace ma non sorprende, chiaro sintomo di quanto sia ancora lunga la strada di una effettiva condivisione di memoria su quanto accaduto in Italia negli "anni di piombo", anni in cui si poteva morire anche soltanto per aver espresso la propria idea, se non omologata al pensiero unico di certa sinistra eversiva. Ancora oggi, nella giornata dedicata al ricordo di tutte le vittime dell'agghiacciante mattanza ideologica terroristica, tra i tanti nomi e volti noti perché politici, docenti universitari, magistrati, funzionari delle forze dell'ordine, sindacalisti e giornalisti, di cui tutti abbiamo memoria, Sergio Ramelli resta uno "sconosciuto ai più", nonostante abbia condiviso con loro un destino inaccettabile in un Paese democratico.
Sergio Ramelli aveva appena 18 anni ed era uno studente convinto di vivere in un Paese fondato sulla libertà di manifestazione del pensiero. Purtroppo non aveva messo in conto la violenza dell'ideologia deviata di chi difende la tua libertà di pensiero soltanto a patto che il tuo pensiero sia uguale al suo. Lo studente milanese 18enne, da pochissimo iscritto al Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Movimento Sociale-Destra Nazionale (partito politico dell'arco costituzionale), "non aveva precedenti penali, non aveva mai partecipato ad aggressioni, risse o minacce e non aveva attaccato manifesti né distribuito volantini a scuola", come accertarono le inchieste della magistratura. Non fu quindi vittima di scontri tra gruppi giovanili schierati su posizioni politiche opposte ma, ancor più tragicamente, pagò con la vita l'aver criticato in un tema a scuola la dilagante violenza delle Brigate Rosse. Da quel giorno lui e i suoi familiari furono bersaglio di continue minacce e aggressioni, fino al 13 marzo del 1975, quando Sergio fu massacrato a colpi di chiave inglese da un commando formato per lo più da studenti di Medicina referenti di Avanguardia Operaia; morì dopo un mese e mezzo di agonia. Le cronache di quel giorno riferiscono che, alla notizia dell'aggressione, dai banchi della sinistra in Consiglio comunale a Milano si levarono applausi.
A distanza di 50 anni, in una democrazia ormai matura, come si possa con onestà scevra da strumentalizzazione politica rigettare a priori il ricordo di un adolescente ucciso per aver esercitato il sacrosanto diritto alla sua libertà di pensiero è questione che lascio alla coscienza di coloro che in queste ore hanno espresso la propria contrarietà all'iniziativa di dedicare a Sergio Ramelli una strada. Per adesso, se questa proposta ha un merito, è aver reso evidente quanta distanza da colmare ci sia ancora tra la polemica scatenata e le parole incise a Milano proprio sul ceppo dedicato a Sergio Ramelli: "In nome di una pacificazione nazionale che accomuni in un'unica pietà tutte le vittime innocenti della nostra storia come monito alle generazioni future". La pacificazione storica, auspicata costantemente anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, non potrà dirsi realizzata finché i nomi e le storie di alcune vittime continueranno a restare "sconosciute ai più" e quindi annientate due volte, prima nel corpo e poi nella memoria collettiva.
Redazione