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giovedė, 10  luglio 2025



12:59:00
Sentenza Giuseppe Tupputi, la riflessione dell'Avvocato Francesco Piccolo
La nota del legale della famiglia Tupputi



Riceviamo e pubblichiamo la riflessione dell'Avvocato Francesco Piccolo legale della famiglia Tupputi dopo la sentenza di secondo grado che conferma l'ergastolo per Pasquale Rutigliano:

Esprimo, a nome mio e della famiglia Tupputi, profonda gratitudine alla Corte d’Assise d’Appello per la serietà, l’equilibrio e la lucidità con cui ha affrontato un processo così delicato.
Come ben sapete, ho sempre evitato di parlare con i media dei temi processuali.
L’ho fatto per rispetto verso le Istituzioni e per l’immensa fiducia che nutro – e cerco di trasmettere – verso la Magistratura e le forze dell’ordine.
Un lavoro, il loro, che mi sento di difendere a gran voce: encomiabile, costante, discreto e sereno.

In questa sentenza abbiamo trovato non solo giustizia, ma ascolto, rispetto e dignità per la memoria di Giuseppe.
E forse, per la prima volta, anche un perché alla sua morte.

Ed è proprio di questo che voglio parlare: del perché.

Giuseppe non è solo la vittima di un singolo gesto insensato.
Giuseppe è una vittima della nostra epoca.
È una delle tante vittime della spettacolarizzazione della violenza, dell’esaltazione della prevaricazione, dell’aggregazione attorno a modelli antisociali.

Giuseppe era un padre, un marito, un lavoratore, un uomo perbene.
Non è morto per una lite.
È morto dentro un clima culturale malato, dove la violenza viene tollerata, esibita, perfino celebrata.

Per fermare questa deriva non basta la magistratura, che pure ha fatto il suo dovere con rigore e umanità.
Serve uno scatto collettivo.
Serve impedire che il modello antisociale continui ad aggregare, ad affascinare, a richiamare attorno a sé consensi e celebrazioni.

Bisogna rilanciare altri modelli di aggregazione.
E farlo con forza. Con passione. Con coerenza.

La mia generazione è cresciuta con l’idea che il lavoro, la formazione, la responsabilità fossero la via per costruire sé stessi.
Quella dei nostri genitori era forgiata dalla cultura del sacrificio, dal senso del dovere, dalla capacità di rinunciare oggi per costruire domani.

Entrambe, in modo diverso, hanno guardato al futuro.
Con dignità. Con fatica.
E hanno costruito l’Italia, su fondamenta solide: lavoro, sacrificio, cultura.

Oggi, rischiamo di bruciare questo tesoro in pochi anni.

Non serve puntare il dito.
Non è una questione di colpe.
È una questione di coscienza collettiva. Dobbiamo risvegliarla.

Dobbiamo smetterla di dire:
“Non mi riguarda.”
“Non riguarda la mia famiglia.”
“Non riguarda i miei figli.”

La morte di Giuseppe lo dimostra.

Perché riguarda tutti noi.
Perché ci siamo dentro.
E solo tenendoci stretti possiamo uscirne.


In che modo?

Non ho la bacchetta magica – anche se qualcuno lo pensa (ovviamente sto scherzando) –
e nemmeno una ricetta assoluta.

Ma so di certo che serve tempo. Serve pazienza. Serve parlarne.
Serve Guardarsi allo specchio senza farsi abbagliare dal riflesso, perché non è sincero, dobbiamo ritrovare quel che siamo davvero oltre l’apparenza.
Dobbiamo trovare il tempo per compiere questo passo ed il coraggio di tornare ad intraprendere vecchi e nuovi percorsi, in grado  di far battere il cuore delle persone migliori, quelle che oggi stanno in silenzio, disilluse, nascoste.

Perché la violenza non si combatte solo col rigore.
Si combatte con il battito collettivo di chi crede ancora nella civiltà.
Con la forza di una comunità che non ha paura di proporre modelli diversi, giusti, solidi.

La magistratura può reprimere e sanzionare – come ha fatto, con l’assassino di Giuseppe.
Le forze dell’ordine possono prevenire – come fanno ogni giorno.

Ma solo un risveglio culturale e condiviso può impedire che questi episodi tornino a riempire le pagine delle nostre città e della nostra meravigliosa nazione.

E se questo accadrà,
Giuseppe non sarà morto invano.


Redazione










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