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domenica, 26  aprile 2020



11:14:00
Fondazione Epasss, percorsi creativi per i pazienti della comunità
Il dott. Saverio Costantino: «Non hanno mai smesso di credere che realmente tutto andrà bene»



«Si sono susseguite negli ultimi mesi numerose notizie che ci hanno rattristato, situazioni e storie di vita che si sono intrecciate con la morte, la paura rimbalzava da una fonte all’altra, sembrava ci fossero più esperti in materia che contagiati - scrive il dott. Saverio Costantino, psicologo-psicoterapeuta».

«Ridondanti attacchi alle nostre emozioni e alle nostre difese immunitarie… tra i tanti eroi che vincono tanti purtroppo perdono, soggetti indifesi con destini ormai non più nelle proprie mani. La grande sfida del momento è stata quella colta dalla Riabilitazione Psichiatrica. La Fondazione Epasss - Ente Provinciale Acli Servizi Sociali Sanitari - in collaborazione con le Asl della provincia della Bat e di Bari è da oltre quaranta anni una delle colonne portanti della Riabilitazione Psichiatrica. La Fondazione Epasss nella figura di Vincenzo Purgatorio (amministratore delegato) abbraccia i principi di riabilitazione, figli della Legge Basaglia, sostenendo e sponsorizzando i percorsi creativi e di riabilitazione delle Comunità.


A cogliere tale sfida nelle Comunità di Barletta, Corato e Ruvo la Responsabile Sanitaria dott.ssa Liso Maria, lo Psicologo dott. Costantino Saverio, i coordinatori di struttura Caputi Antonio, Loiacono Isa Carla e Zucaro Piero… sfida resa grande ancora di più dal fatto che i nostri ospiti sono attivi frequentatori del territorio, abili intrecciatori di storie e relazioni, ottimi clienti di tabaccherie e bar. Inizia un incubo che davvero diventa difficile da trasformare in una sfida; tutti noi tra impotenza e sconforto abbiamo provato ad allearci e a farlo soprattutto con la vita dei nostri ospiti. Finalmente la vita diventa protagonista rispetto alla morte e per salvaguardarla abbiamo dovuto stringerci metaforicamente. Le nostre famiglie sono a rischio, come le loro famiglie che stranamente sono diventate insostituibili e importanti, il sacrificio di non vederle, il sacrificio di non uscire, ha trasformato i pazienti in lottatori insieme a noi. Inconsapevolmente si sono alleati sulla vita prima ancora che sulla paura della morte.

Le distanze, il bisogno di stare insieme, il bisogno di abbracciarci, di avvertire l’assenza del nostro continuo stringerci, tutto questo ci manca ma dobbiamo ancora lottare per la vita. Quel tema che alcuni hanno voluto definire il rischio di burnout, si è trasformato in somministrazione di noi stessi. Come si fa a far vedere un nemico invisibile? Per i nostri pazienti è molto semplice, abituati come sono a volte a vedere quello che non c’è, a sentire ciò che non abbiamo detto, le voci sono diventate lo sguardo che ci unisce, lottando insieme per una battaglia vera, autentica. E tutti, anche gli eroi o i protagonisti, come spesso ci hanno definiti perché il campo noi non lo abbiamo mai abbandonato, proprio tutti siamo diventati vulnerabili e lo siamo diventati noi che impariamo da loro la vulnerabilità, o la nascondiamo a loro.

Siamo stati uniti come non mai, tranquilli come non mai, abbiamo condiviso come non mai, abbiamo dormito senza incubi, abbiamo ridotto il consumo del caffè, delle sigarette, del superfluo, ci siamo sentiti importanti nel difendere la nostra e la vostra vita. e’ sempre stato per tutti noi un giorno in più vissuto insieme, all’insegna dell’essenziale, e un giorno in meno rispetto a quando ci si potrà di nuovo avvicinare senza temere più il contatto. Una storia che si contrappone al peggio, che fa notizia; ecco, noi invece vogliamo far notizia per tutto “il positivo” che c’è, abbiamo avviato il nostro cabotaggio pensando di salvarci tutti, l’ottimismo non è eroismo, ma solo consapevolezza, i loro giorni erano davvero tutti per loro stessi, non avevamo da imporre attività esterne e ponti con il territorio, ma percorsi nei nostri spazi, così unici quando ci appartengono.
Insomma il gruppo di lavoro ha attivato quel contagio di una positività da conquistare, quel covid 19 che speriamo un giorno diventi una marca di jeans oggi è il nostro senso.

Il bello di lottare metaforicamente sembra un paradosso, ma è davvero il senso, quel senso dell’esistere. I nostri pazienti che chiedono a noi come stiamo non ha prezzo, tutto questo nessuno lo ha raccontato e penso che la normalità vada raccontata quando intorno tutto frana, serve a pensare alla solidità. Ora siamo preoccupati, ora che tutto piano piano torna alla normalità, qualche contenuto nostalgico si infrange nella frenetica ricerca di conquistare il passato, nella speranza di essere migliorati, noi ne abbiamo la certezza siamo diventati immuni dal sentirci dipendenti dal superfluo.

Ma i nostri pazienti hanno l’essenziale e quindi per loro cosa è cambiato? Hanno sostenuto le nostre preoccupazioni, il nostro senso della responsabilità, non hanno mai smesso di credere che realmente tutto sarebbe andato bene…questa la loro forza. Ognuno di loro è diventato amico della propria patologia, e “tenendola a bada” abbiamo insieme colorato e disegnato, abbiamo cantato, abbiamo rivolto lo sguardo fuori e in alto, tutti per la prima volta nella stessa direzione».
 


Redazione



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